di e con Piera Russo
scene Armando Alovisi
costumi Sandra Banco
disegno luci Gianluca Sacco
supervisione disegno luci Nadia Baldi
aiuto regia Sofia Damasco
regia Piera Russo
“Se l’uomo esterna il desiderio di un divertimento, la donna sia sempre pronta a soddisfarlo, anche se stanca o sofferente. Se poi lo stesso desiderio è in lei e non è condiviso dall’uomo, non insista e vi rinunzi serenamente.”
Leggendo queste parole dal libro di economia domestica della madre, la piccola Simon, nata in Italia negli anni 90, si interroga per la prima volta su cosa significhi essere una donna. Inizia così il viaggio di scoperta nelle diverse fasi della sua vita. Ogni tappa è accompagnata da una parola chiave e dalla relativa etimologia, di cui Simon si serve come bussola per non perdersi nei luoghi comuni.
Dimensioni, colori e stoffe cambiano, così come il tempo, i luoghi e i legami. Resta però, come un filo rosso impigliato in ogni veste, un unico grande conflitto: cercare di piacere o cercare il piacere?
Piacere mio è il monologo di Simon, una donna che, nata in Italia negli anni novanta, si chiede cos’è una donna. Lo spettacolo dai ritmi serrati e i toni tragicomici racconta Simon nelle diverse fasi della sua vita, interpretata come un viaggio.
Ogni tappa è accompagnata da una parola chiave e dalla relativa etimologia, di cui Simon si serve come bussola per non perdersi nei luoghi comuni. Da bambina vivace e curiosa del mondo, Simon deduce dalle raccomandazioni della madre, appassionata di manuali di economia domestica, che essere femmine è molto meno divertente che essere maschi. Le sue azioni sono limitate da una serie di privazioni imposte dai genitori che inspiegabilmente per Simon non sono presenti nei confronti del fratellino. “Sono cose da maschi, tu fai cose da femminuccia” si sente dire e presto
impara che non basta la diversità corporea, già di per sé complessa da comprendere, ma ci sono regole sociali da rispettare per appartenere a un genere piuttosto che ad un altro.
Da adolescente nell’incontro con Filippo, avendo sommariamente e goffamente introiettato un’idea di donna giusta, in scena un copione noto dalle note ironiche in cui però il personaggio “donna” rappresentato da Simon è in contrasto con ciò che lei davvero sente e pensa e che confida al pubblico rompendo la quarta parete. È proprio in quell’incontro/scontro corporeo con l’alterità nuova, quella maschile, che emerge in lei il senso di vuoto, fisico ed emotivo, se mai le due sfere possano essere separate.
Da trentenne, che temporalmente coincide con il contesto storico attuale, il personaggio “donna” sembra essere maggiormente codificato in lei, ma più Simon si avvicina allo stereotipo femminile contemporaneo più si allontana da sé stessa, intravedendo nell’ossessione del controllo in nome della perfezione estetica il principio di un baratro.
Simon incappa poi in Antonio, si abbandona a lui e, tonda, cerca di entrare in un quadrato ovvero la casa reale, metafora della stabilità familiare, che per lei diventa però difesa dalla vita.
Simon vive di riflesso, determina sé stessa in funzione del suo uomo. “Se lui mi ama, mi amo anche io” dice e nell’illusione di una fusione astratta con l’altro, spinta anche dalla pressione dell’aspettativa sociale, perde la sua identità in nome dell’idea di famiglia. È sempre in nome delle idee che il corpo precipita, fino ad arrivare a squarciare il velo patinato e a mostrare le cose nella loro realtà disastrosa e autentica: Simon non sa chi è.
Non sarà neanche la funziona di madre, in cui amore e paura si mischiano conflittualmente, proprio come in sua madre, a risolvere il senso della sua ricerca.
In un futuro in cui la tecnologia viene incorporata e allontana dai corpi, Simon ormai anziana, tra reminiscenze e lacune ritorna a interrogare il vuoto che si porta dentro. E in quel dialogo intimo e profondo che rompe la paura di essere controllata, arriva onestamente a zittire le voci di fuori, a liberare il suo segreto,
a rinascere.
Che cos’è una donna? Un mistero ontologico che non ha risposte, come la vita.